La Doppia Tassazione Sui Dividendi Esteri In Italia

Dividendi esteri in Italia: scopri come funziona la tassazione, evita la doppia imposizione e ottieni il credito d’imposta sulle tasse pagate all’estero.

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La tassazione sui dividendi di azioni estere rappresenta uno dei temi più complessi nel panorama fiscale italiano, soprattutto per quanto riguarda la doppia imposizione che continua a gravare sugli investitori italiani. Recenti interventi giurisprudenziali, culminati in pronunce della Corte di Cassazione e delle Corti di Giustizia Tributaria (CGT), hanno aperto nuove possibilità per gli investitori che subiscono la doppia tassazione sui dividendi esteri. Tuttavia, nonostante l’orientamento favorevole dei tribunali, lo scenario rimane incerto a causa delle contromisure in fase di studio da parte dell’Erario.

Introduzione alla tassazione dei dividendi esteri 

I dividendi esteri sono una forma di reddito derivante dalla partecipazione in società non residenti, ossia società che hanno sede legale e fiscale in un Paese diverso da quello in cui risiede il percettore del dividendo. Tali dividendi rappresentano una parte degli utili generati dalla società partecipata e distribuiti agli azionisti. In termini fiscali, i dividendi sono considerati redditi di capitale e, in Italia, sono soggetti a specifici regimi di tassazione, che variano a seconda della natura del soggetto percettore (persona fisica o giuridica), del Paese in cui la società erogatrice è residente, e della presenza di eventuali convenzioni contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il Paese d’origine del dividendo.

Il crescente interesse per i dividendi esteri, dovuto alla globalizzazione dei mercati finanziari, ha portato alla necessità di chiarire i principali aspetti fiscali legati alla percezione di questi proventi da parte di soggetti residenti in Italia, siano essi persone fisiche o giuridiche. La tassazione dei dividendi esteri presenta infatti numerose peculiarità, specialmente quando si tratta di evitare la doppia imposizione, ossia il pagamento delle imposte sia nel Paese di origine del dividendo che in Italia. L’obiettivo di questo approfondimento è fornire un quadro dettagliato della normativa nazionale e internazionale applicabile e delle problematiche pratiche che possono emergere.

Dividendi esteri percepiti da persone fisiche: il quadro normativo attuale

Nel contesto fiscale italiano, i dividendi esteri percepiti da persone fisiche rientrano nella categoria dei redditi di capitale. Tale inquadramento è disciplinato dall’articolo 44 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), che include tra i redditi di capitale “gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti assoggettati all’IRES”. Questo vale sia per i dividendi distribuiti da società residenti in Italia che per quelli erogati da società estere.

Nel caso in cui il percettore del dividendo sia una persona fisica, occorre distinguere tra due situazioni:

  • Persona fisica che esercita un’attività d’impresa: In tal caso, i dividendi esteri percepiti sono considerati parte del reddito d’impresa e tassati di conseguenza.
  • Persona fisica privata: In questo caso, il dividendo estero percepito è trattato come reddito di capitale, assoggettato alla tassazione prevista per i redditi di questo tipo.

Tassazione dei dividendi esteri per i soggetti privati

La normativa fiscale italiana stabilisce che i dividendi percepiti da soggetti privati, siano essi partecipazioni “qualificate” o “non qualificate”, sono soggetti a una ritenuta alla fonte del 26%. Questa disposizione è regolamentata dagli articoli 44 e 45 del TUIR. 

La partecipazione qualificata: definizione e implicazioni

Una partecipazione è considerata qualificata quando l’azionista detiene:

  • Una percentuale di diritti di voto superiore al 25%, oppure
  • Una partecipazione al capitale sociale che eccede il 25%.

Tuttavia, dal punto di vista fiscale, non esiste una differenziazione rilevante tra partecipazione qualificata e non qualificata per quanto riguarda i dividendi esteri percepiti da persone fisiche residenti in Italia. Entrambi i tipi di partecipazione scontano la medesima tassazione del 26%.

Dividendi esteri e doppia tassazione: la ritenuta alla fonte estera e le convenzioni internazionali

Quando una società estera distribuisce dividendi a un soggetto avente residenza fiscale in Italia, può essere prevista una ritenuta alla fonte nel Paese d’origine del dividendo, comunemente nota come “withholding tax”. Questo meccanismo si verifica in quasi tutti i Paesi, dove le autorità fiscali applicano una ritenuta sui dividendi erogati a soggetti esteri. L’aliquota di tale ritenuta può variare da Paese a Paese e dipende dalle leggi fiscali locali e dalla presenza di eventuali convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni. Le convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione stabiliscono generalmente che i dividendi pagati all’estero siano tassati nel Paese di residenza del beneficiario, con una ritenuta che solitamente non supera 15% di aliquota. Infatti, in assenza di una convenzione bilaterale in alcuni Paesi la ritenuta potrebbe essere significativamente superiore: Danimarca (aliquota del 27%), Francia (aliquota del 25%), Germania (aliquota del 26,375%) e Svizzera (aliquota del 35%).

Le convenzioni internazionali contro la doppia imposizione, stipulate tra l’Italia e numerosi Paesi, prevedono quindi una riduzione dell’aliquota della ritenuta estera o addirittura l’esenzione dalla stessa, per evitare che il percettore del dividendo debba pagare tasse sia nel Paese di origine del dividendo sia in Italia. Tuttavia, anche se le convenzioni possono mitigare l’effetto della doppia imposizione, è possibile che il contribuente italiano si trovi comunque di fronte a una situazione di tassazione applicata lordo dei dividendi percepiti, che potrebbe essere risolta attraverso il meccanismo del credito d’imposta per le tasse pagate nel Paese estero.

La base imponibile per i dividendi esteri: modalità di tassazione del reddito

La determinazione della base imponibile per i dividendi esteri è un aspetto cruciale della tassazione. Secondo l’articolo 59 del TUIR, la base imponibile varia a seconda che vi sia l’intervento di un intermediario residente fiscalmente in Italia al momento della distribuzione del dividendo estero o meno.

Le modalità principali di tassazione sono due:

  1. Ritenuta a titolo di imposta: Se al momento della distribuzione del dividendo interviene un intermediario residente in Italia, l’articolo 27, commi 4, 4-bis e 5 del DPR n. 600/73, prevede che il dividendo estero è soggetto a una ritenuta alla fonte del 26%, calcolata sul cosiddetto “netto frontiera”, ossia il dividendo al netto delle ritenute già subite nel Paese di origine. Questo sistema evita una doppia imposizione sulla stessa somma e semplifica il calcolo dell’imposta dovuta in Italia.
  2. Imposta sostitutiva: Se non interviene un intermediario residente, il contribuente deve dichiarare il dividendo percepito e pagare un’imposta sostitutiva del 26%. Tuttavia, in questo caso, l’articolo 18, comma 1, del DPR n. 917/86 non effettua alcun riferimento al “netto frontiera”, con la conseguenza che la base imponibile su cui viene calcolata l’imposta potrebbe essere maggiore rispetto a quella che si avrebbe in presenza di un intermediario. Questo aspetto ha generato un certo dibattito in quanto sembra creare una discriminazione tra chi utilizza un intermediario e chi no, comportando una disparità di trattamento fiscale.

La Circolare n. 9/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti importanti in merito, affermando che i redditi di capitale di fonte estera percepiti senza l’intervento di un intermediario devono essere trattati allo stesso modo dei redditi percepiti tramite intermediario. Di conseguenza, anche in caso di tassazione senza intermediario, il contribuente dovrebbe poter beneficiare del regime di “netto frontiera”, applicando quindi il credito d’imposta sulle ritenute già applicate sui dividendi legati a titoli esteri.

Tuttavia, anche l’applicazione della tassazione al “netto frontiera” comporta una doppia imposizione sui dividendi.

L’evoluzione della giurisprudenza e le recenti sentenze della Corte di Cassazione e delle CGT

Le pronunce più recenti della Corte di Cassazione (Sentenze n. 25698/2022 e n. 10204/2024) hanno segnato un punto di svolta sul tema della doppia imposizione dei dividendi sui titoli di emittenti esteri, aprendo la possibilità per i contribuenti di ottenere un credito d’imposta in dichiarazione dei redditi.

In particolare, la Cassazione ha affrontato il caso dei dividendi esteri distribuiti da una società statunitense a un contribuente italiano, esaminando l’applicazione della Convenzione Italia-USA. In questa occasione, la Corte ha stabilito un principio chiaro: qualora il contribuente non abbia facoltà di scegliere un regime di tassazione ordinario, come previsto dall’art. 18, comma 1 del TUIR, l’imposta sul reddito pagata all’estero si deve considerare detraibile.

In questo senso, la Corte ha chiarito che la detrazione dell’imposta pagata all’estero non può essere esclusa quando la tassazione è imposta automaticamente dalla legge italiana e non su richiesta del contribuente. Il caso in esame ha dimostrato come la normativa italiana, quando non lascia possibilità di scelta all’investitore, non possa impedire l’ottenimento del credito d’imposta.

Queste sentenze hanno poi trovato conferma in decisioni successive delle Corti di Giustizia Tributaria. La CGT di Verona (sentenza n. 423/2023) e la CGT di Siena (sentenza n. 68/2024) hanno ribadito che i titoli emessi da società estere non possono essere soggetti a una doppia tassazione senza che venga riconosciuto il credito per le imposte pagate all’estero.

La complessità della procedura di rimborso

Sebbene la possibilità di ottenere un credito d’imposta sia un diritto sancito dalle convenzioni bilaterali e dalla giurisprudenza, la procedura per chiedere il rimborso è tutt’altro che semplice. Gli investitori italiani devono prima affrontare la burocrazia fiscale del Paese estero per ottenere un rimborso parziale della ritenuta alla fonte, e successivamente presentare un’istanza all’Agenzia delle Entrate per il riconoscimento del credito d’imposta in Italia. Nonostante l’apertura giurisprudenziale, il processo rimane macchinoso e spesso scoraggia i contribuenti, lasciando miliardi di euro nelle casse dei Paesi esteri.

Le contromisure dell’Erario italiano

Nonostante lo spiraglio aperto dalla giurisprudenza, lo scenario rischia di mutare rapidamente. Le sentenze favorevoli ai contribuenti potrebbero spingere lo Stato italiano a rivedere le convenzioni bilaterali, modificando i trattati internazionali per limitare o eliminare il diritto al credito d’imposta. L’Italia, infatti, rischia di perdere ingenti somme di gettito fiscale derivante dalla tassazione dei dividendi esteri, e per questo è probabile che cercherà di correre ai ripari rinegoziando le convenzioni contro le doppie imposizioni.

Conclusioni

Alla luce delle recenti sentenze e delle potenziali contromisure da parte dell’Erario, diventa essenziale che i contribuenti interessati a investire in titoli esteri o che già percepiscono dividendi da società non residenti siano ben informati sui propri diritti. La giurisprudenza ha aperto una strada verso il superamento della doppia imposizione fiscale, ma il contesto normativo potrebbe evolvere in direzioni meno favorevoli.

Per questo motivo, si consiglia di rivolgersi a un avvocato esperto di fiscalità internazionale, in grado di guidare il contribuente attraverso le complesse normative e procedure fiscali per evitare doppie imposizioni e, soprattutto, futuri accertamenti da parte dell’Erario.

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